Studio vs Pratica: Il divario italiano tra formazione e realtà aziendale
- News Officine business
- 17 ott
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In Italia, il percorso formativo è spesso lungo, teorico e scollegato dalla realtà operativa delle aziende. Migliaia di giovani escono ogni anno da università e istituti tecnici con titoli accademici, ma senza alcuna idea di come si lavora davvero in un’impresa. Il risultato? Un esercito di neolaureati che si sentono spaesati, inutili, o peggio ancora, frustrati.
La teoria: solida, ma distante
Il sistema educativo italiano è ancora fortemente orientato alla trasmissione di contenuti, più che allo sviluppo di competenze. Si studiano modelli, si analizzano casi, si memorizzano definizioni. Ma raramente si lavora su progetti concreti, si simula la gestione di un team, o si affrontano problemi reali. La teoria è fondamentale per comprendere i processi, ma senza pratica rimane sterile.
La pratica: caotica, spesso improvvisata
Entrare in azienda è un salto nel vuoto. I flussi di lavoro sono confusi, le procedure non sono standardizzate, e spesso manca una cultura del mentoring. I giovani si ritrovano a “imparare facendo”, ma senza guida, senza feedback, e senza un piano di crescita. Le esperienze di stage e apprendistato, quando ben strutturate, possono colmare il gap. Ma troppo spesso sono vissute come manodopera gratuita, senza reale investimento nella persona.
La tossicità nei luoghi di lavoro e lo Straining
A peggiorare il quadro, c’è un problema che molti fingono di non vedere: la tossicità degli ambienti aziendali, soprattutto nelle grandi imprese. Turnover altissimo, mobbing silenzioso, pressioni costanti e una cultura del “non disturbare il capo” rendono il lavoro un campo minato. E qui emerge un nodo cruciale: la preparazione dei manager italiani.
In troppi casi, chi gestisce persone non ha alcuna competenza in leadership, comunicazione, gestione emotiva o sviluppo del talento. Si diventa responsabili “per anzianità” o “per fedeltà”, non per merito. Il risultato? Manager che ignorano le dinamiche umane, che non sanno motivare, che non ascoltano. E che, spesso, generano ambienti tossici per incompetenza, non per cattiveria.

Serve un cambio di paradigma
L’Italia ha bisogno di un ponte solido tra formazione e impresa. Serve una rivoluzione culturale che metta al centro la persona, non solo il profitto. Serve che le aziende investano in formazione manageriale, in coaching, in cultura del feedback. E serve che il mondo accademico si apra alla realtà, collaborando con le imprese per creare percorsi ibridi, dinamici, utili. Perché il futuro del lavoro non è solo digitale. È umano.
